Dopo parecchie perplessità, dovute alle condizioni del tempo, variabile a seconda delle stazioni Meteo interpellate, l’escursione pomeridiana è partita regolarmente. Ritrovo a Cà Diedo, nella chiesetta dell’omonima famiglia, per un primo approccio illustrato con dovizia di particolari, dal curatore dell’iniziativa che vuole fondere, come titola il volantino, Campanili e risaie ovvero una visita alle chiese e agli oratori della zona, con tappa finale a Lughetto per i festeggiamenti dei 450 anni della consacrazione della chiesa; le risaie si sono inserite di prepotenza, perché da studi fatti si è evidenziata la storica coltivazione del riso, fatta in loco nei secoli passati. A Cà Diedo un simpatico teatrante in costume “Vintage” ci ha declamato dei versi o parole un po’ incomprensibili ma applaudite con fervore da tutti… o forse hanno applaudito il suo bel vestito rosso e lo zucchetto che ricopriva i suoi folti capelli. Va bè! L’inizio è un po’ così così, ma siamo tutti speranzosi per il prosieguo della giornata. Il tempo tiene, almeno quello.
Usciti dalla chiesa di Cà Diedo, ammiriamo la facciata della villa che essendo abitata, appare come una casa colonica, quasi normale ma l’ammirazione aumenta quando ci chiedono di osservare attentamente la “peschiera”, dove venivano allevati i pesci per i nobili pranzi; ci guardiamo intorno curiosi ma non vediamo nulla finché non ci spiegano che, in pratica la peschiera ora è la strada asfaltata dove stiamo appoggiando i piedi, valli a capire ‘sti nobili.
Si continua il cammino, si lasciano ferme le macchine per ragioni di parcheggio, non siamo ancora alla sofferenza ma cinquecento metri non sono pochi. Ci fermiamo a ridosso di un canale che taglia la strada perpendicolarmente e che sicuramente era la fonte d’acqua per irrigare le risaie che ancora sono nei titoli di testa. Le spiegazioni sono dotte e appassionate e ci tengono tutti col fiato sospeso e gli occhi al cielo, visto che dai campi limitrofi tre ultraleggeri si sono alzati i volo e stanno facendo le loro brave evoluzioni; anzi, forse i piloti pensano che tutta quella gente la sotto si sia fermata per ammirare la loro bravura. Le quotazioni risaie, fino a quel momento di fatto “Starring” della giornata, ne risentono notevolmente. Ma ecco il momento clou, ci dicono entusiasti ovvero l’attraversamento dei terreni formato UNI A4, proprio com’erano 400 anni fa; ripresa la macchina ci avventuriamo lungo una strada sterrata cercando disperatamente queste risaie che nel frattempo si sono trasformate in campi di mais, probabile succedaneo del riso dei secoli passati. In lontananza la S.S. Romea fa sentire il rumore del suo traffico; non è la Route 66 che attraversa l’America dall’Atlantico al Pacifico ma, insomma, Lugo – Lughetto evocano lo stesso ricordi epocali. Comincia a piovere e io comincio a essere stanco, lascio la carovana nell’ultima passeggiata verso non so quale altro canale e mi fermo a fare due chiacchiere con Igor (si legge aigor per chi non lo sapesse), che sembra essere un vero monumento di Legambiente Riviera. Ultima corsa in macchina ed ecco Lughetto e la sua chiesa consacrata 450 anni fa; ancora un sermone ascoltato in religioso silenzio, assaporando i profumi provenienti dalla locale cucina della sagra paesana ed eccoci tutti pronti per l’aperitivo con il bicchierino di plastica in mano (no Murano glass). Ma non è finita, mi ero dimenticato del coro di voci bianche che ormai bianche più non sono; dovevo leggere qualcosa sulle mondine ma il direttore d’orchestra mi informa che nel loro repertorio non è prevista nessuna canzone sulle risaie, quindi lasciamo perdere e finalmente ci sediamo. Sono le 19, il nostro beneamato Presidente si divide con tutti, distribuendo sorrisi felici (beato lui). Roberta che è venuta con la figlia, in macchina con me, mi trova pronto ad esaudire al suo desiderio di riportarla a casa; aspetto che il coro attacchi il suo cavallo di battaglia e sulle note e le parole di…”Dame un boaro, dame un scarparo, dame calcossa che fassa ciaro (almanco me pare de aver capio cussì), quatti quatti ce ne andiamo verso la macchina. Giuro che non magnarò più risoto almanco par sie mesi!
P.S. Un particolare ringraziamento a Luciano Rocco per la sua bella e puntigliosa ricostruzione storica che, scherzi a parte, sicuramente gli è costata fatica e sudore. Bravo! Ma dopo i risi basta che no te tachi col formenton desso!
A Renato Moressa per il portamento regale nell’indossare quel meraviglioso costume d’epoca (a proposito so mujer ze ancora drio cercar ea tenda del saloto) e comunque Renato, tranquillo che un posto nella prossima Riviera Fiorita è assicurato.
Ambientalino