Sulle origini di Mira si intrecciano storia e leggenda.
Una curiosità poco conosciuta dagli stessi abitanti di Mira, è l’origine del nome di questa cittadina della Riviera del Brenta che ha sempre mantenuto stretti contatti storici con la vicina Venezia.
Con l’espandersi dell’Islam verso gli inizi del secondo millenio in tutto il Medio Oriente e in particolare in Terra Santa, la repubblica marinara di Venezia sentiva la necessità di riportare in terra cristiana le spoglie dei santi più antichi che ancora si trovavano in zone occupate dagli infedeli.
Furono organizzate diverse spedizioni in oriente tra cui la più nota è quella per il recupero del corpo dell’evangelista San Marco dal sepolcro di Alessandria d’Egitto.
La leggenda racconta che, rubato il corpo e allontanata dal porto di Alessandria, presto la nave veneziana si trovò circondata dalla flotta mussulmana che pretendeva la restituzione delle spoglie.
Con un espediente i veneziani coprirono le spoglie del santo con carne di maiale a cui, come è noto, i mussulmani non devono avvicinarsi.
Tuttavia, scoperto l’espediente da parte dei mussulmani, prodigiosamente il corpo di San Marco si trasformò in un leone alato scampando al blocco e volando fino a Venezia dovè il corpo è tuttora custodito.
Seguirono numerose altre spedizioni navali che ebbero successo, tant’è vero che molti importanti santi dei primordi della cristianità furono poi translati a Venezia dove tuttora riposano, come ad esempio Santa Lucia di Siracusa, Santa Barbara e altri.
Nel 1038 i veneziani decisero di organizzare una spedizione in Licia, attuale Turchia, per prelevare il corpo di San Nicola (patrono dei naviganti) ancora sepolto nella sua città natale di Myra.
Il trafugamento della salma ebbe successo e la nave veneziana prese regolarmente la rotta dell’Adriatico in direzione di Venezia.
All’epoca, quasi tutto il Mediterraneo orientale, all’epoca, era infestato da pirati turchi che spesso effettuavano brevi incursioni in terre cristiane per razziare cibo e risorse agricole.
Quasi tutta la penisola balcanica e in particolare l’attuale Albania erano le roccaforti di partenza della flotta turca per queste irruzioni.
Arrivata alla latitudine del canale d’Otranto, ben presto la nave veneziana che trasportava il corpo di San Nicola, si trovò nuovamente assediata dalla flotta turca.
Quasi circondati dai nemici, ai navigatori veneziani non rimase che tentare di raggiungere quanto prima il piu’ vicino e sicuro porto cristiano che nella zona era il porto fortificato di Bari.
Raggiunta fortunosamente Bari dove la nave veneziana rimase protetta per lungo tempo, ai veneziani non rimase alternativa che consegnare il corpo di San Nicola ai devoti di Bari, dove tuttora giace venerato quale protettore della città.
Successivamente ritornati salvi a Venezia, un componente dell’equipaggio della nave veneziana originario in questa zona della Rivera del Brenta, in ricordo della sua avventura volle rinominare il suo paese con il nome di Mira in ricordo della città di Myra di Licia di cui San Nicola era nativo.
Tuttora il patrono di Mira è San Nicolò.
Lo storico Tito Livio parla di una flotta greca comandata dallo spartano Cleonimo che intorno al 302 a.C. si sarebbe spinta fino ai lidi della laguna veneta.
Il condottiero si sarebbe spinto ancor più in là risalendo il corso del fiume Medoacus Major, l’attuale Brenta, saccheggiando alcuni villaggi padovani.
Della località parla anche Marziale; Vitruvio e Strabone informano sulla agiatezza economica goduta dalle popolazioni dell’estuario durante la dominazione romana.
Con la decadenza dell’Impero Romano iniziarono le invasioni barbariche che sconvolsero le popolazioni: si ricordano le azioni di Pipino, di Ezzelino, degli Ungari che furono le più devastanti.
Alle razzie barbariche si aggiunsero le disastrose piene del Brenta, che compromisero ancor di più le condizioni di vita, e alle quali si cercò di far fronte con tagli e scavi di nuovi corsi d’acqua.
Intorno al 1142 i Padovani operarono un taglio sul fianco sinistro del Brenta provocando una diversione delle acque verso il territorio di Sant’Ilario, sede dell’importante abbazia benedettina.
Questa era sorta agli inizi dell’800 per opera appunto dei benedettini, su un terreno lasciato in donazione dai dogi Angelo e Giustiniano Partecipazio, divenendo in breve tempo un centro di attività di bonifica dei territori paludosi, di incremento agricolo, di caccia e di pesca.
Ma il monastero era destinato a decadere a causa dei continui scontri tra Veneziani e Padovani che se ne contendevano il possesso poiché veniva a trovarsi in una posizione di confine.
Nel 1250 venne preso da Ezzelino, nel 1375 dai Carraresi.
Dopo la guerra di Genova (1379) fu definitivamente abbandonato e invaso dalle acque. I contrasti tra Padova e Venezia terminarono definitivamente verso la metà del ‘500 dopo che Venezia riuscì ad avere la meglio e ad eleggere un provveditore per l’amministrazione di questa parte di terraferma; la sede della Provveditoria si trovava nell’attuale Piazza Mercato-Gambarare.
Dalla metà del XVI secolo si iniziò la costruzione di ville, barchesse e oratori per opera di architetti famosi quali Palladio e Longhena, che seppero realizzare quelle case di villeggiatura decantate come oasi di serenità nell’amena campagna lungo il fiume.
Tutto questo termina con la decadenza di Venezia.
L’occupazione straniera, francese e austriaca, segna un inesorabile declino economico e culturale.
E tuttavia si ha proprio in questo periodo l’avvio di una attività industriale, ancora elementare, caratterizzata da impianti per la produzione di candele e sapone, per la marinatura delle anguille, da fabbriche di laterizi e da numerose lavanderie.
Nel 1866 Mira è annessa all’Italia, e nell’anno seguente i tre Comuni di Mira, Oriago, Gambarare, si fondono in uno solo, che assume il nome di Mira.
Mira intreccia la sua storia con quella dei canali che ne segnano il territorio in tutte le direzioni.
Nulla di più naturale, perciò, che proporre un itinerario per monumenti seguendo le pigre anse del Brenta, la via acquea principale, che nei secoli vide il progressivo avanzare del dominio veneziano, di cui resta testimonianza nelle ville, negli oratori e nelle chiese, nei casini di caccia, nei palazzi e nelle colonne di confine.
Il viaggio può iniziare in barca (purché dal fondo piatto) da Fusina, per avventurarsi nei meandri silenziosi dei canali che solcano le migliaia di isolotti della Barena, prima che la laguna ceda il passo alla terraferma.
È un paesaggio unico, un’oasi naturalistica di grandissimo valore.
Ripresa la strada, dopo Fusina, ecco subito la Chiusa di Moranzani, uno degli esempi più mirabili delle opere di ingegneria idraulica prodotte dai veneziani.
Attraversandola a piedi si raggiunge, poco distante, il luogo in cui le barche caricavano l’acqua potabile per Venezia; acqua che arrivava da Dolo lungo il corso della Seriola, un fossato oggi in parte interrato.
A Malcontenta, l’occhio è catturato dalla imponente bellezza di Villa Foscari che si affaccia su uno dei punti più belli del Naviglio.
Costruita a metà del ‘500 dal Palladio, è ottimamente conservata ed è tra le poche ville visitabili dal pubblico (il martedì e il sabato dalle 9.00 alle 12.00).
È una costruzione massiccia ed equilibrata nelle proporzioni; sul lato che guarda al canale, l’austero volume, decorato a bugnato è alleggerito da un grande pronao. All’interno il piano nobile è ornato da un ciclo di affreschi di G.B. Zelotti della seconda metà del ‘500.
Nel corso dei secoli vi soggiornarono sovrani e uomini di cultura, mercanti e generali.
Proseguendo lungo la statale che costeggia il Naviglio Brenta si incontra, all’ingresso di Oriago, il “Termine”, pilastro del 1375 che segnava gli antichi confini di Venezia.
Quindi, sempre sulla riva sinistra, ecco la settecentesca Villa Allegri in cui soggiornò anche il Generale Radetsky, e subito dopo l’antico Palazzo Moro, del ‘400, la cui facciata conserva “murata” la lapide con i versi danteschi del V Canto del Purgatorio in cui si narra la morte, qui avvenuta, di Jacopo del Cassero.
Siamo così giunti ad Oriago, la cui parrocchiale dedicata a Santa Maria Maddalena presenta un campanile romanico a cella ottagonale decorato da formelle di terracotta.
La chiesa, iniziata nel ‘400 e modificata nel secolo successivo, è a navata unica con cappelle laterali.
Tra le tele conservate all’interno è interessante quella posta sulla nave di destra, “noli me tangere” attribuita a Francesco Vecellio (1475-1559).
Il soffitto è opera moderna (1947), realizzata da Beppi Spolaor (1910-1950).
Sulla riva destra spiccano Palazzo Mocenigo, completamente restaurato e la cinquecentesca Villa Gradenigo.
L’edificio, in ottime condizioni, presenta all’interno notevoli cicli pittorici, in parte attribuiti a Benedetto Caliari (1538-1598), fratello di Paolo Veronese.
Da Oriago, attraversata Piazza Mercato (il cui nome testimonia la presenza del mercato settimanale fin dal 1500), abbandonando il canale e percorrendo Via Risorgimento, si giunge attraverso un tranquillo paesaggio di campagna, a Gambarare, la cui Chiesa Parrocchiale, dedicata a San Giovanni Battista, è una delle più belle della Riviera, con il suo piccolo campanile romanico.
Ha una storia antichissima, avendo raccolto l’eredità del Monastero di Sant’Ilario quando questo, alla fine del 1200, andò in rovina.
Al suo interno, ottimamente restaurato, un organo costruito dal Callido (1727-1813), il maggior organaro veneto del ‘700, e una lapide con trascritta la bolla papale con cui nel 1508 Giulio II riconosceva all’assemblea dei capifamiglia cattolici il privilegio di scegliere il parroco tra una rosa di nomi proposti dal Patriarca di Venezia, privilegio cessato nel 1998 con la nomina dell’ultimo parroco.
Costituita da una sola navata, l’arcipretale termina con un’abside affiancata da due altari. Interessante, a sinistra, la cinquecentesca fonte battesimale e il pulpito sovrastato da affreschi recenti di C.B. Tiozzo.
Nella sacrestia sono custoditi due importanti armadi seicenteschi in noce, una deposizione di Gesù, della bottega di Palma il Giovane, e due statue lignee cinquecentesche raffiguranti i Santi Giovanni e Paolo.
Tornati lungo il Brenta, dopo Oriago, ci si imbatte in uno degli angoli più suggestivi della Riviera: Valmarana.
Della villa omonima rimangono solo le due grandi barchesse laterali, poiché il corpo centrale fu abbattuto dai proprietari, alla fine del secolo scorso, per questioni fiscali.
Quasi di fronte, attorniata da uno splendido giardino, sorge la settecentesca Villa Widmann-Foscari, elegante, ricca di decorazioni e dipinti.
Ospitò, tra gli altri, Goldoni, D’Annunzio e Strawinsky.
All’interno il salone delle feste è decorato con un ciclo di affreschi a soggetto mitologico.
La villa è stata di recente splendidamente restaurata ed è quindi nuovamente aperta al pubblico, che può così ammirarne anche il grande parco.
Poco oltre, sull’altra riva, immersa nel verde c’è Villa Valier con la Barchessa e la chiesetta seicentesca.
Un dipinto di Alessandro Maganza, raffigurante una suonatrice di chitarra (ora esposto all’Accademia di Venezia) diede il nome di “Chitarra” a tutta la località.
Solo pochi metri, e sul Brenta si affaccia la cinquecentesca Villa Querini-Stampalia.
Al suo interno, un prezioso ciclo di affreschi, opera di B. De Pitati e della sua bottega, per la quale lavorarono anche i giovani Tintoretto e Bassano.
Si entra così a Mira Porte, piccolo borgo praticamente intatto con le sue case a schiera seicentesche, alcune delle quali conservano ancora l’orto retrostante.
La statale, con il suo traffico, è poco lontana.
In passato fino a settant’anni fa al posto della piazza sorgevano le chiuse, che si attraversavano con un ponte mobile.
La località era metà di viaggiatori e mercanti, che spesso sostavano nei due alberghi del posto.
L’itinerario ci permette di vedere quindi le Ville Franceschi e Principe Pio, l’ultracentenario Mulino Simionato, ancora in attività e la parrocchiale di San Nicolò, con la bella canonica secentesca.
L’intitolazione a San Nicolò della chiesa testimonia il ruolo fondamentale dei barcaioli nell’economia del paese nei secoli passati.
San Nicolò era infatti il loro patrono e Mira, in Turchia, era la sua città di origine, e divenne anche il nome del paese sostituendo quello più antico di Cazoxana.
Nei secoli, pur mantenendo l’originale struttura perimetrale, la chiesa ha subito numerosi rimaneggiamenti.
Anche il campanile attuale non è quello originale ma una costruzione novecentesca.
L’interno è a tre navate con decorazioni tardo-settecentesche del presbiterio; mentre sulla navata sinistra merita attenzione una pala raffigurante “Sant’Antonio da Padova e Gesù Bambino”.
Proseguendo lungo il viale alberato che costeggia il Naviglio Brenta in questo punto, si raggiunge Villa Contarini detta “dei Leoni”, per le due belle sculture poste all’ingresso.
Non sono gli originali, dal momento che questi, assieme ai preziosi affreschi del Tiepolo eseguiti nel 1754, che ornavano il salone a pianterreno e raffiguranti la sosta a Mira di Enrico di Valois di ritorno in Francia dalla Polonia, furono venduti dai proprietari nel 1893 e si trovano attualmente a Parigi, al Museo Jacquemart-André.
Il parco retrostante, a giardino italiano, ospita diverse varietà vegetali.
Anche a Mira Taglio numerose ville costeggiano il canale intervallate da case a schiera d’epoca: procedendo verso Padova, si incontrano, a destra, Villa Corner e Villa Bon, a sinistra Villa Levi-Morenos e Foscarini dei Carmini.
Una lapide, sulla facciata di quest’ultima, ricorda che qui soggiornò a lungo, tra il 1817 e il 1819, il poeta inglese George Byron.
Altre splendide testimonianze della presenza veneziana accompagnano la parte finale dell’itinerario lungo il Naviglio: le Ville Alessandri, Swift-Barozzi, Querini Moro-Lin, Bonlini Pisani, Palazzo Boldù, Villa Venier e Villa Selvatico Granata.
L’itinerario turistico-storico lungo il Naviglio Brenta è possibile, da Marzo a Ottobre, anche per via acquea a bordo del Burchiello.
Abbandonando il percorso lungo il Naviglio, si possono raggiungere con comode strade (meglio se percorse in bicicletta) i centri abitati di Marano e Borbiago.
Paesi di storia antica, legati alla coltivazione della terra e alle tradizioni ad essa collegate: le feste popolari, i filò, i gruppi familiari estesi.
A Borbiago merita una sosta il santuario dedicato a Santa Maria Assunta, luogo di intenso culto mariano che ebbe origine da un episodio miracoloso verificatosi nel 1101 quando la Madonna apparve ad una contadinella sordomuta; nelle vicinanze della chiesa esiste ancora il pozzo in cui la tradizione vuole sia avvenuta l’apparizione.
A Marano accanto ad alcuni begli esempi di case coloniche, va segnalata la fabbrica di concimi chimici “Marchi” sorta nel secolo scorso e che conserva ancora splendide testimonianze.
A sud della statale Romea, nella parte di territorio che confina con la laguna, sono situate due piccole località: Giare e Dogaletto.
Giare si snoda su un lungo rettilineo che dalla Romea si inoltra nella campagna. Sulla strada, numerosi edifici rurali, testimonianza dell’antica vocazione agricola di questa zona.
I piccoli proprietari, un tempo dediti alla produzione cerealicola, si sono progressivamente orientati verso l’orticoltura, sia in serra che all’aperto.
Il fiore all’occhiello di questa produzione è l’asparago, che qui cresce alimentato da un terreno tra i più adatti a conferirne pregi e sapori.
Oltre di esse, ecco la laguna, con i suoi canali, i filari di canne, le nuove costruzioni per il ricovero delle imbarcazioni di pescatori e appassionati di birdwatching.
Dogaletto, da “Doge”, che suggerisce l’antica appartenenza alla Repubblica di Venezia: l’edificio più interessante è la casa detta del doganiere, costruzione cinquecentesca destinata ad abitazione per l’addetto alla riscossione dei pedaggi dovuti dalle barche che transitavano sul vicino canale Bondante.
Finito l’abitato, lungo Via Bastie, si raggiunge la Romea: nei campi che si attraversano forse sorgeva duemila anni fa il villaggio romano di Abondia, come testimoniano numerosi reperti qui ritrovati.