Il biogas è una delle fonti energetiche più importanti per il raggiungimento in Italia degli obiettivi fissati dall’Unione Europea per il 2020 (20% di energia da fonti rinnovabili sul consumo energetico lordo e 10% sul consumo energetico finale nel settore dei trasporti), ma è anche una grande opportunità per l’agricoltura e l’ambiente, nella misura in cui concorre all’integrazione del reddito agricolo e alla valorizzazione dei suoi sottoprodotti, che altrimenti sarebbero trattati come rifiuti tout court.
Il biogas e più in generale le politiche di sviluppo delle agrienergie non possono ignorare la loro specificità di fonte energetica indissolubilmente legata alle economie agricole locali e ai contesti territoriali. Di conseguenza, il loro sviluppo corretto non può che essere altamente decentralizzato.
Tuttavia, soprattutto negli ultimi anni, il biogas è stato anche occasione di iniziative speculative che poco hanno avuto a che fare con l’uso sostenibile delle risorse naturali dei territori, e in alcuni casi, impianti mal gestiti hanno prodotto forti problemi nell’accettazione sociale anche agli operatori più virtuosi. Ad acuire la confusione, poi, si è aggiunta la preoccupazione per la possibile diffusione di batteri patogeni attraverso il ciclo del digestato (residuo del processo di produzione del biogas a partire dalle biomasse) e lo spargimento sui suoli del compost di qualità da esso prodotto.
Se confrontato con le altre bioenergie, il biogas presenta una serie di punti di forza, tra cui l’elevato rendimento energetico (per esempio rispetto a caldaie e motori a olio vegetale) ed elettrico rispetto al consumo totale di energia (35-40%) e per ettaro coltivato. È poi una fonte energetica complessa che cioè impiega una vasta gamma di materie prime – residui agricoli, zootecnici, agroindustriali, da Forsu (Frazione organica da rifiuti solidi urbani), colture dedicate di primo e secondo raccolto – ma che sono ampiamente diffuse su gran parte del territorio italiano. Un aspetto quest’ultimo che ne fa una fonte fortemente legata ai territori e in particolare all’agricoltura. Il biogas, infatti, è in grado di valorizzare i residui che altrimenti verrebbero trattati come rifiuti e che spesso sono una grave fonte di inquinamento (reflui/affluenti zootecnici).
Diversamente dalle altre bioenergie, il biogas può essere trasformato in metano ed essere immesso nella rete del gas o utilizzato come carburante nei trasporti. Proprio per l’abbondanza di matrici utilizzabili, infatti, il metano da biogas è oggi l’unico biocarburante che consente potenzialmente all’Italia di raggiungere l’obiettivo del 10% di carburanti alternativi al 2020, imposto dalla direttiva UE sulle Fonti Rinnovabili.
Inoltre, il residuo di processo (il digestato) conserva la parte lignocellulosica e l’azoto presenti nelle biomasse utilizzate, principalmente sotto forma di azoto ammoniacale a pronta cessione, e, se correttamente gestito, è utilizzabile sia come ammendante che come fertilizzante in sostituzione di prodotti chimici di sintesi, con notevoli vantaggi ambientali.
Per tutti questi motivi Legambiente sta lavorando ad un documento per individuare i criteri di riferimento per la valutazione dei progetti per la produzione di biogas su scala locale.
Per capire perché Legambiente non è favorevole ai grandi impianti di produzione di biogas può essere utile leggere l’articolo di Carlo Petrini, Presidente nazionale di Slow Food pubblicato su Repubblica del 9/5/2012
E’ possibile dare il proprio contributo all’elaborazione del documento (per contatti: legambienterivierabrenta@gmail.com).